come buttare una bottiglia in mare, sperando che non colpisca in testa una cernia

giovedì, aprile 15, 2004


...Anna si agita, arranca tra qui numeri imprigionati in un alveare di celle excel e fa fatica. Lei i numeri non li capisce mai facilmente, non le piacciono. La fanno sentire stupida. Già da quando aveva cominciato a scriverli le prime volte non le veniva bene. Inciampava nell’angolo troppo acuto dell’1 e in quelle curve chiuse dell’8, quelle curve che giravano a vuoto all’infinito, ruote per scoiattoli. Per non parlare di quando avevano cercato di spiegarle che quei numeri potevano essere sommati e sottratti. E poi le divisioni, che tutti gli altri bambini, anche quelli più piccoli di lei, sapevano fare e lei no e se ne vergognava. E appena qualcuno provava ancora un volta a spiegargliele, ‘ste divisioni, lei non riusciva a stare dietro alle cose logiche che quello diceva e diventava rossa e si sentiva le guance caldissime come stessero per scoppiare e allora perdeva completamente il controllo dei suoi pensieri.
E si ricordava di quel pomeriggio in cui suo zio, quello bello e importante, lo zio che parlava bene, lo zio con i capelli bianchi e gli occhi azzurri e la camicia profumata d’amido, aveva spaccato in due una matita rossa e blu, per la rabbia. Perché lei non capiva. E quella matita era rimasta sul tavolo della cucina, accanto al barattolo dello zucchero rovesciato, con lei che la fissava paralizzata. Senza piangere. Senza battere ciglio. Con le braccine magre lungo i fianchi su una sedia troppo alta. Sgomenta e piena di vergogna.
E quelle due metà spezzate, la metà rossa e la metà blu, rimanevano un mistero che la terrorizzava. Quella per lei era UNA matita rotta per la rabbia, continuava ad essere una sola matita, rotta a causa della sua stupidità, non due parti…”divise”…come le vedeva lo zio furioso.
E invece, per la piccola Anna, quanto era più facile far scorrere la penna in fluide paginette d’ “uva” e di “sole” e di “la mia mamma cucina”. E, quando era più grandicella, a raccontare vacanze al mare che in realtà non aveva fatto. Ma era facile immaginarle e scrivere. Arrampicarsi con l’inchiostro su montagne di sabbia e disegnare sul foglio parole complicate per un bambino piccolo, come “cavalluccio di mare” e “alghe marine”.
Scrivendo respirava e per qualche momento si liberava dalla convinzione e dalla vergogna di essere stupida...


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