come buttare una bottiglia in mare, sperando che non colpisca in testa una cernia

giovedì, ottobre 05, 2006


uno strarlcio così quasi a caso dal mio romanzetto in fieri. sempre in fieri.

Vista da qui la flebo sembra un calice di cristallo. Pieno di un liquore dolce. Visto da qui il bianco delle lenzuola sembra un abito pronto da indossare per la prima comunione. E il rumore degli attrezzi di metallo sui carrelli suona come le note isolate dei tasti di un pianoforte.
Un notturno di Chopin.
Non sono i tagli e i chicchi d’asfalto che mi sono entrati nelle mani a ferire. Di più è la malinconia. Respiro diligente, però. So che devo continuare a farlo. Con un ritmo costante.Chi lo ha detto che respirare viene automatico?
Io ora ci penso a ogni boccata d’aria che ingoio a sforzo. Come quando imparavo le tabelline a fatica. Faccio sforzo di non smettere la cantilena dei respiri. Perché, tutto sommato, voglio continuare. Uno per uno uno. Uno per due due.
Perché, nonostante tutto, ci sono attaccata ai pomeriggi al mare, e a quelle poche cose come il camminare a fianco, l’aspettare l’estate seduti sui muretti, il pane con l'olio ed il sale. Come ballare o come quando ti viene da ridere e non riesci a smettere. Come la tovaglia pulita e il vino a pranzo, una canzone che passa alla radio, certe mattine d’inverno, al mercato, con le buste della spesa ad aiutare mia madre, e mio padre che ci aspetta in macchina. Cose come addormentarsi con la stanchezza e il latte caldo, svegliarsi con una voglia di andare nelle gambe. I ricordi, le coincidenze. Il desiderio e le possibilità. Infinite. Che sempre rimangono, finchè si respira. E’ per questo che, diligente, ingoio questo ossigeno difficile. Attenta a non sbagliare.
Uno per uno uno. Uno per due due. Uno per tre tre.
Quando finalmente il respiro mi è tornato automatico mi hanno spostato dalla rianimazione in una stanza con altre persone.

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