come buttare una bottiglia in mare, sperando che non colpisca in testa una cernia

mercoledì, ottobre 18, 2006


mi abituo alla vista nuova.
dalla stanza dove dipingo ora.
specialmente di notte.
vista underground su caviglie e pneumatici.
niente tetti di cattedrali,
piuttosto voci che arrivano dall'alto.
e ginocchia.
un gatto che scappa. sporco di fuligine.
una cartella di bambino.
la città mi prende ancora di più dentro il suo ventre d'asfalto.
sono sempre più figlia sua.
e in fondo è quello che voglio.

giovedì, ottobre 12, 2006


l'ultima notte che ho dormito là.
nella casa davanti al mercato.
Le stanze vuote rivelavano tutto quello che le ha riempite.
Le parole facevano eco. E i silenzi anche.
e le lenzuola svelavano in ogni piega un giorno. una notte.
ma quello che ho lasciato stanotte, non si può dire.
E allora sarà una tela.
Sarà una tela grande.
Userò molto bianco. Pochi colori. Quasi solo terre e grigi.
Sarà un letto sotto una finestra.
Il mio letto. La mia finestra.
E basta.
La stanza vuota.
Con gli angoli così candidi.
Tutti gli angoli che ho lasciato.

venerdì, ottobre 06, 2006


A casa mia quando eravamo piccoli
non c'erano libri
solo l'enciclopedia medica e un libro sui faraoni.
E poi potevamo sfogliare l'album delle foto di nozze dei miei genitori
o vestro e postalmarket.
E però, nonostante non ci fossero a casa mia librerie piene zeppe fino al soffitto,
come quelle che vedevo a casa di una mia compagna di scuola figlia di notaio,
noi piccoli i libri li abbiamo cercati, amati. Preferiti a tutto il resto.
I primi ce li facevamo prestare dai miei zii. In quella casa di Napoli dove c'era, nel salone,
anche una statuetta di dedalo e icaro. E liquori nei mobili. E sigarette.
Una casa diversa dalla nostra.
Mi incantavo sempre a guardarla quella statua di dedalo e icaro. Con quelle ali.
Io ero piccola piccola e tra i primi libri che mi feci prestare mi ricordo 'la noia' di Moravia e 'Marcovado' e 'Quo Vadis'.
Chissà poi perchè scelsi quelli, che cosa mi suggerivano le copertine, i titoli, i nomi degli scrittori.
Da allora poi i libri me li facevo comprare dai miei genitori. O mettevo i soldi da parte in una piccola cassaforte di plastica rossa.
Poi piano piano hanno i libri hanno riempito casa mia e anche quella dei miei genitori.
Dentro degli scaffali pieni quasi come quelli della figlia del notaio. Certo in scaffali meno pregiati.
E mio padre, da quando non crolla più morto di sonno, subito dopo cena, per la fatica di un lavoro pesante, ha cominciato a leggerli. Tutti.
E stamattina mi ha detto che li ha finiti tutti quelli che sono a casa. Me ne ha chiesti altri.
Con la stessa avidità con cui io chiedevo, bambina, a lui, di regalarmeli. Per favore. E lui non li capiva bene, allora, questi oggetti di carta e di parole. Ma mi accontentava. Si fidava di me. Dei miei desideri. Dei miei sogni.
Bo. Quasi quasi mi veniva da piangere. Per una specie di tenerezza.

giovedì, ottobre 05, 2006


uno strarlcio così quasi a caso dal mio romanzetto in fieri. sempre in fieri.

Vista da qui la flebo sembra un calice di cristallo. Pieno di un liquore dolce. Visto da qui il bianco delle lenzuola sembra un abito pronto da indossare per la prima comunione. E il rumore degli attrezzi di metallo sui carrelli suona come le note isolate dei tasti di un pianoforte.
Un notturno di Chopin.
Non sono i tagli e i chicchi d’asfalto che mi sono entrati nelle mani a ferire. Di più è la malinconia. Respiro diligente, però. So che devo continuare a farlo. Con un ritmo costante.Chi lo ha detto che respirare viene automatico?
Io ora ci penso a ogni boccata d’aria che ingoio a sforzo. Come quando imparavo le tabelline a fatica. Faccio sforzo di non smettere la cantilena dei respiri. Perché, tutto sommato, voglio continuare. Uno per uno uno. Uno per due due.
Perché, nonostante tutto, ci sono attaccata ai pomeriggi al mare, e a quelle poche cose come il camminare a fianco, l’aspettare l’estate seduti sui muretti, il pane con l'olio ed il sale. Come ballare o come quando ti viene da ridere e non riesci a smettere. Come la tovaglia pulita e il vino a pranzo, una canzone che passa alla radio, certe mattine d’inverno, al mercato, con le buste della spesa ad aiutare mia madre, e mio padre che ci aspetta in macchina. Cose come addormentarsi con la stanchezza e il latte caldo, svegliarsi con una voglia di andare nelle gambe. I ricordi, le coincidenze. Il desiderio e le possibilità. Infinite. Che sempre rimangono, finchè si respira. E’ per questo che, diligente, ingoio questo ossigeno difficile. Attenta a non sbagliare.
Uno per uno uno. Uno per due due. Uno per tre tre.
Quando finalmente il respiro mi è tornato automatico mi hanno spostato dalla rianimazione in una stanza con altre persone.

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